CASAL DI PRINCIPE SGOMINATO RACKET DI!!! "RICICLAGGIO DELLA PIZZA"
CASERTA – La soffiata di un pentito, mesi di appostamenti nell’umido,
un pm sotto scorta e cimici piazzate nei funghi sott’olio: tanto è
servito agli inquirenti per stroncare un business camorristico che ha
dell’incredibile, e che denota la capacità del sistema mafioso, pur
fiaccato da arresti e pentimenti, di innovare, per farsi più sfuggente e
tranquillizzare gli investitori.
L’idea è stata di unire la crisi economica, che costringe molte
famiglie a saltare qualche pasto, col cibo più diffuso nella regione.
Sfruttando la rete di ristorazione locale, da tempo in mano al clan, i
Casalesi ordinavano il recupero di tutti gli avanzi di pizza che i più
abbienti lasciavano nel piatto, per poi ridistribuirli nelle piazze
dello spaccio. Uno spicchio al dettaglio costava 20 centesimi, un
assemblaggio di gusti diversi per formare mezza pizza veniva 1,40 euro.
Se un aristocratico ordinava a domicilio, gli veniva offerto il servizio
di ritiro dell’umido ma, se si rivolgeva a pizzerie non affiliate, i
portapizze del clan intercettavano i rivali e li speronavano coi
motorini, per poi impadronirsi del carico e distribuirlo ai pusher. Una
speculazione sulla difficoltà di arrivare a fine mese che, in breve, ha
creato un esercito di tossici della pasta lievitata e un giro d’affari
di decine di milioni di euro. Anche di più, col cartone.
I resti delle pizze che non si riusciva a ‘ripulire’ venivano
occultati nel sottosuolo e ricoperti di rifiuti tossici per non destare
sospetti. Il tutto con gravissimi danni alla salute degli abitanti.
Donne incinte hanno bevuto dalle falde inquinate e decine di bambini
sono nati con voglie di capricciosa su tutto il corpo. Un contadino
impegnato ad arare è stato raggiunto alla carotide da uno spicchio di
rucola e grana schizzato dal terreno. Una coppia di coniugi, usciti di
buon mattino a raccogliere bossoli, è stata fagocitata da un misterioso
blob a bordi spessi.
Il sistema era interamente ideato e gestito dalla raffinatissima
mente criminale di Gennaro Keisemberg, cinquantenne cilentino di lontane
ascendenze austriache che, per terrorizzare i suoi nemici, scelse di
ribattezzarsi “Esposito” negli anni Settanta. La DIA lo bracca da
decenni, ma la sua figura è avvolta nella leggenda. Si dice che si
nasconda in un casolare in campagna, e che viva di mozzarella, spaghetti
con le cozze e cliché. Centinaia di arresti e la chiusura di decine di
locali sono il peggior colpo infertogli finora, nell’attesa che prima o
poi decida di pentirsi, o di candidarsi alle politiche.
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